Si chiacchiera sul 25 Aprile che sarebbe morto.
Sèè vabbe'.
Per carità, al netto di certa insopportabile retorica (come a Terni, che si è dovuti ascoltare, dopo il saluto alle autorità civili politiche militari e religiose - ricordarsi che magari ci sarebbero le associazioni partigiane... - prima un pensiero ai poveri due marò, quindi una tirata su Napolitano e la saggezza delle larghe intese).
Ma il 25 Aprile, anche se retorico, annacquato, contestato, non condiviso, è vivo.
E' l'unica vera festa nazionale, in cui l'Italia, o anche solo una parte di essa, veramente ricorda e festeggia qualcosa di importante che fa parte della sua identità.
E' di parte, ma così deve essere, si festeggia l'Italia che fece una scelta, necessariamente di parte.
E' quando anche il fare una scampagnata, una grigliata assume un significato politico.
E infine, è una festa, nel senso proprio del termine.
Che, riprendendo le parole del compagno Filipponi,
«Qualche volta è necessario divertirsi pure per qualche ora. Ciò serve anche, specie ai giovani, per raddolcire l'animo. Non si possono passare i mesi e mesi a pensare al servizio di guardia e sparare con il mitra, la bomba o la mitragliatrice. Malgrado la fede che ci anima - afferma con forza il Comandante -, malgrado la giustezza della nostra lotta armata, in quanto mira non soltanto a ridonare la libertà al popolo e l'indipendenza alla nazione, ma anche ad accelerare la fine della guerra, con il fermo proposito che di guerre non se debbono più fare, occorre se pure per poche ore lo svago, il diversivo. Altrimenti si potrebbe cadere alla aberrazione. Divertitevi perciò cari compagni partigiani con l'istesso slancio di quando partite per le azioni di guerra.»