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6 novembre 2012

Il punto politico di mezzo autunno

Aspettando che si dice oltre oceano, brevi note sugli ultimi dieci giorni.
Elezioni siciliane. Mah, più che tanto, nel complesso, nessuna particolare sorpresa, vista "da qua" è sempre abbastanza difficile stare appresso alla politica siciliana, e poco ci si aspetta. Il punto centrale, che fa specie, è l'astensione oltre al 50 %. Alla luce di questo dato, della assoluta frammentazione del quadro politico, della delegittimazione popolare di liste e partiti che, al netto, anche i più votati sono ciascuno rappresentativi neanche di un elettore su dieci, anche il risultato (indubbiamente notevole) dei grillini è in realtà, rispetto alle potenzialità, alquanto zoppo. Di certo, del tutto fuori luogo è stato il trionfalismo di Bersani. Andando però al secondo nodo critico, guardandosi un po' in casa, ok che come detto dalla Sicilia non si ha nessuna particolare aspettativa elettorale, però porca miseria, il risultato elettorale del 6 % delle sinistre è disastroso. In voti netti appunto, vuol dire che a stento un siciliano su trenta ha scelto di dare il suo voto a quella che dovrebbe essere realmente una proposta politica alternativa e di rottura. Fattori ostili, leggerezze, ok, svariati, però un risultato come questo non è una tornata elettorale andata male, è indice di un problema politico enorme per la sinistra, il rischio di diventare del tutto superflui è concreto.
Province, legge elettorale etc. Senza stare a entrare nel merito (altamente discutibile) degli ennesimi provvedimenti sui quali si sta pronunciando il governo Monti, si rileva solo che, politicamente, esso non ha la benché minima legittimazione per approvarli, e non è tollerabile l'abuso che sta continuando a fare, complice un Parlamento vergognoso sul quale ha potere di ricatto, della decretazione d'urgenza, antidemocratica e palesemente incostituzionale.
Di Pietro. Senza stare a riscomodare la genialata veltroniana di portarlo in Parlamento come unico proprio alleato, è da anni una delle anomalie negative della sinistra italiana. A quanto pare, finalmente sembrerebbe essere alla frutta, schiacciato fra trasformismi, scandali e Grillo; speriamo sia veramente così, che quantomeno potrebbero rimettersi in circolazione un po' delle energie positive (e non sono poche) che in questi anni hanno appoggiato l'IDV.
L'altro giorno, con una partecipazione di pubblico superiore alle aspettative, comizio a Terni di Nichi Vendola. Mai stato un "fan" sfegatato, e i dubbi sulle scelte politiche, a partire dall'opportunità delle primarie, permangono in larga parte. Che però sia, nell'odierno quadro politico italiano, una personalità nettamente superiore alla media, e altrettanto, che con la scelta di partecipare alle primarie, dopo mesi di isolamento mediatico, finalmente si sia riusciti a tornare a far sentire le proprie idee, e qualcosa di differente dalle magnifiche sorti del governo tecnico, da Grillo e dalla polemica Renzi/Bersani, è innegabile.

19 luglio 2012

Terni in provincia di Roma?

Si eviterebbe volentieri di parlare di idiozie simili, ma tanto è, la questione tiene banco, e non pochi concittadini pare ci credano per davvero.
Proposta di referendum per staccare il Comune di Terni dall'Umbria, e aggregarlo al Lazio. Segnatamente alla Provincia di Roma.
Idea del tutto peregrina, provinciale nel senso deteriore, superficiale, demagogica, e nel merito molto molto stupida.
Anzitutto, questioni procedurali. Terni non è un paesello di mille abitanti, è una città, capoluogo di provincia, sede di istituzioni regionali e provinciali, inserita in un sistema organizzativo/istituzionale legato a doppio filo al resto dell'Umbria da decenni. Una "secessione" di Terni dal territorio umbro sarebbe un casino organizzativo colossale (dal quale a noi resterebbero comunque, alla fine, solo le briciole di ciò che abbiamo). Ci si pensi un secondo, prima di chiacchierare. Altro che sede dell'ASL. Altro che sede del Tribunale. Altro che, naturalmente, sede di provincia (e soprattutto, dei servizi territoriali ad essa collegati).
Questioni geografiche. Al momento, l'unica provincia laziale con cui confina Terni è quella di Rieti. Come si possa pensare di fare un referendum per aggregarsi a una provincia, Roma, della quale a oggi saremmo un'enclave, è un bel mistero. Se è, allora aggreghiamoci a una provincia per la quale ne valga veramente la pena, che so io, Alto Adige, sa' che spettacolo Terni sudtirolese.
Nel merito. Per risolvere gli indubbi problemi di rappresentatività e influenza di Terni e provincia in Umbria, col rischio di soppressione della provincia, andare a mettersi sotto Roma? Ma ci siamo completamente rincoglioniti? Già, appunto, contiamo oggettivamente molto - troppo - poco adesso, che esprimiamo un quarto della popolazione e del territorio dell'Umbria. Quale pensiamo che diventeremmo, quale sarebbe il peso di Terni, a diventare ipoteticamente parte della provincia di Roma? Poco contiamo ora, nulla conteremmo in questo vagheggiato domani romano. Che poi neanche si parla di intera provincia, ma solo del Comune di Terni.
Numeri. Comune di Terni 113.444 abitanti; Provincia di Roma  4.233.653 abitanti. Rapporto 1/37. Regione Lazio 5.773.953 abitanti. Rapporto 1/51. Abbiamo meno abitanti di un semplice quartiere romano. In un consiglio provinciale, per capirci massimo ci sarebbe un consigliere eletto a Terni. Terni in provincia di Roma varrebbe meno di niente, come se non esistesse.
'Va, ce li manderebbi volentieri 'ste menti, a Roma per andare alla motorizzazione civile, per le cause in tribunale e in corte di appello. Sa' che divertimento, vedere come funzionerebbero meglio le cose... Che poi sinceramente, per quante che ne vogliamo dire, in Umbria meglio che in Lazio su tante cose stiamo messi meglio, a partire dalla sanità. Bella fine che farebbe il S. Maria, sprofondato nella sanità laziale.
E poi le menate sull'università, gente che veramente crede che tipo la Sapienza avrebbe chissà che interessi ad aprire sedi distaccate a Terni. Discorsi che forse avevano un qualche senso oltre 15 anni fa, ma del tutto irrealistici, campati per aria, oggi, con le università (con la Sapienza che certo non brilla) coi fondi ridotti al lumicino. Le sedi distaccate le chiudono un po' ovunque, grasso che cola se riusciamo a salvare quello che c'è oggi a Terni.
Di fronte a problemi seri e reali - la sottorappresentanza e lo scarso peso di Terni e provincia in regione (di cui la composizione dell'ultima giunta, o le polemiche sulla sede della ASL sono esempi indicativi) -, e al rischio concreto addirittura di cancellazione della provincia di Terni - francamente assurda, ingiustificata e inaccettabile, dannosa non solo per questo territorio, ma per l'Umbria intera, che perderebbe assolutamente senso di esistere - è indispensabile cercare di trovare delle risposte serie, non emerite stronzate come questa, fondate su un misto di demagogia, ignoranza, provincialismo.
Ah sì, da ultimo. E' piuttosto qualificante, del loro livello e delle loro capacità, l'appoggio che una serie di esponenti politici locali, anche noti, di centrodestra ha dato al "referendum". Una volta di più, si dimostra che per quanto possiamo avere, a Terni come in Umbria, un ceto politico di centrosinistra largamente di scarsissimo valore, "l'opposizione" di centrodestra riesce sempre a rimanere due gradini ancora più in basso, e che evidentemente gli sta molto comodo rimanersene all'opposizione.

20 luglio 2011

Le province democratiche, il Minimetrò regionale e il vaporetto per Marmore

Non si voleva tornare immediatamente sugli argomenti di cui si è parlato ieri, ma insomma, me c'hanno tirato.
Il PD, finito nell'occhio del ciclone per non avere votato a favore dell'abolizione delle province, con molta fierezza annunciava che non andava appresso a proposte demagogiche, ma presentava riforme organiche proprie. Andiamola a vedere, che dice la proposta sulle province: abolizione di tutte quelle sotto i 500mila abitanti. In pratica, ne resterebbero 38 sulle attuali 110. Ora, se si vuole realmente provvedere alla riforma delle province, non si può farlo così, con l'accetta, considerando esclusivamente il dato numerico, ma bisogna necessariamente tenere conto di altri fattori, l'estensione territoriale, l'identità che c'è dietro (che non dimentichiamolo, l'"identità provinciale" è spesso assai più radicata,e storicamente e culturalmente più giustificata di quella regionale). Con effetti alquanto assurdi sulle regioni meno popolose, sotto il milione di abitanti, Molise, Umbria, Basilicata, le quali verrebbero accorpate in un'unica provincia, sovrapposta, come la Val d'Aosta, con la regione, con sostanziale duplicazione di ruoli. E allora veramente, quasi c'ha più senso ciò che dice Galli, aboliamo direttamente queste regioni. Insomma, anche il PD, in quanto a demagogia, non scherza con tale proposta.
Punto 2, l'annosa questione perugina (cascante a fagiolo, per dimostrare che sì, ci manca solo che diventi l'unica provincia umbra). Come detto in precedenza, si è proceduto recentemente ad un'unificazione delle varie aziende di mobilità umbre, al fine di ottimizzare soprattutto i servizi, che però finora oltre al nome "Umbria Mobilità" è cambiato poco. C'è la questione però degli ingenti costi di gestione della mobilità alternativa perugina, leggesi scale mobili, e soprattutto quel buco nero del minimetrò, che su a PG vedrebbero molto bene da scaricarsi sull'intero bilancio regionale, sostenendone appunto l'interesse di tutta l'Umbria su tali opere (oh, che poi ne sembrano pure convinti eh, chi lo contesta lo fa "solo per campanilismo"). Tutta l'Umbria che però, ultimo un ordine del giorno del Comune di Terni, si oppone fermamente. Beh, l'ottica perugina è ganza, fai il Minimetrò, opera rivelatasi estremamente costosa e di assai relativa utilità per grandissima parte di Perugia stessa, e ne scarichi i costi su tutto il resto della regione, che non ne trae il minimo vantaggio.
Toccherebbe inventarsi anche noi qualche bizzarra forma di mobilità da mettere in conto al resto dell'Umbria, qualcosa boh tipo un servizio pubblico di vaporetti che risalgano il Nera fino alla Cascata, o una funivia Terni Centro - Ospedale - Miranda.

19 luglio 2011

Abolizione dell'Umbria, questione delle province, San Valentino e terre irredente

Scopresi che tale Galli, leghista presidente della Provincia di Varese, avrebbe proposto per razionalizzare i costi della politica l'abolizione della Regione Umbria e del Molise.
La presidente Marini interviene subito alquanto giustamente guasta. Ma la cosa pesa è che per rivendicare la legittima aspirazione all'esistenza dell'Umbria, come prima cosa butta là l'avere dato i natali a San Francesco, Santa Chiara, San Benedetto e Santa Rita.
Bah.
Che poi, se proprio non si riesce a elaborare qualcosa di culturalmente più rilevante dei santi (con buona pace della battaglie laiche sul loro inserimento nello Statuto regionale), beh allora c'è da reclamare con forza il buon vecchio San Valentino.

Comunque, sul tema più generale della riduzione dei costi della politica, e la tanto polemizzata abolizione o meno delle province. Eliminarle mi sa una sciocchezza, specie in grandi regioni, ad esempio, sono necessari livelli intermedi tra il piccolo comune di poche decine di abitanti e il livello regionale. Quello che è necessario è 1 verificare e revisionare con attenzione compiti e competenze 2 mettere un freno alla proliferazione di ennesime nuove province e al localismo esasperato 3 procedere a una razionalizzazione, e al necessario accorpamento di un buon numero di province.
Da ultimo, ma non in ordine di importanza, procedere all'inclusione di Spoleto e dintorni, Valnerina, Cascia e Norcia all'interno della Provincia di Terni, che queste terre irredente, soggette al bieco dominio grifo-conigliesco-perugino, sono un'offesa di fronte a Dio, SanFrancesco-SantaChiara-SanBenedetto-SantaRita-SanValentino e agli uomini.

13 aprile 2011

Identità regionali

Il MPA, non molto differente da una Lega Nord in salsa siciliana, la settimana scorsa ha proposto le ore obbligatorie di siciliano a scuola.
La notizia in sé è piuttosto scema, la solita sparata localistica, che già i fondi mancano, i pochi che ci sono andiamo a spenderli così sì certo.
No, più che altro, l'idea di insegnare la lingua "siciliana" dà da riflettere: versione "che duci"? o magari area messinese?
Tutto in nome della difesa e della tutela della "identità regionale". Le identità regionali. Grandi cazzate, le regioni stesse, in realtà, sono poco più che "espressioni geografiche" di metternicchiana memoria. Facciamo l'esempio dell'Umbria, regione piccolina e con pochi abitanti: che c'ha da spartire un ternano, francamente, con un perugino, per non parlare magari di un castellano? Una storia recente, una certa similarità di problemi, ma non certo un'identità.
Fa' veramente specie la strumentalità delle "identità regionali", inventate e sfruttate solo per crearsi rendite di posizione e di potere...