Sinceramente, questo del 2012 non è stato "un gran bel Giro". Ha appassionato poco, molti pochi spunti interessanti. E in pratica s'è dovuto arrivare agli ultimi tre giorni per vedere veramente un po' di movimento.
Il percorso in sé non sarebbe stato malaccio, non il migliore dei Giri, salite globalmente non mostruose, ma per chi aveva gambe e voglia di fare la differenza le possibilità ci sarebbero state senza problemi. Ecco, quella che è mancata forse è stata la cronoscalata, che con la corsa di quest'anno avrebbe obbligato i corridori di punta a scoprirsi di più. Era bella la tappa marchigiana, tutta saliscendi, anche se non è stata in alcun modo sfruttata. E, paesaggisticamente parlando, l'attraversamento del Ternano/Amerino. Ma soprattutto però, il maggiore difetto del percorso è stato quello di concentrare eccessivamente le giornate con le salite più impegnative negli ultimissimi giorni, mentre la settimana intermedia è stata globalmente quella più noiosa, praticamente di mero trasferimento. E ciò si è visto nella gestione della corsa da parte dei corridori di classifica, tutti a controllarsi a vicenda, tutti raccolti fino alla fine nell'arco di nemmeno due minuti, tutti sempre in gruppo fino a 500 m dal traguardo.
I corridori cosiddetti big non si può dire, appunto, abbiano entusiasmato. Hesjedal per carità, complimenti, specie per la tenacia nei momenti chiave, ma ha fatto la differenza nelle cronometro iniziali e finali, all'attacco praticamente mai. Rodriguez forse, per media di gara, poteva meritare maggiormente la vittoria finale, ma anche lui la maglia rosa era riuscita a conquistarsela quasi unicamente con gli abbuoni , con gli scatti all'ultimo km: comunque gli si rende merito, i suoi cambi di ritmo (molto bella la rimonta sullo Stelvio) sono stati praticamente gli unici. E contento che abbia soffiato la maglia della classifica a punti a Cavendish. Ecco invece, De Gendt, scoperto alla penultima tappa, tra il Mortirolo e lo Stelvio, avrebbe dato gusto se fosse riuscito nell'impresa di vincere il Giro. Terzo posto pienamente meritato. La sua azione, di corridore che si reputava fuori classifica, con l'attacco sullo Stelvio, è stata l'unica vera, bella azione, realmente emozionante, di questo Giro d'Italia, dopo giorni passati tra gli altri corridori, anche sui passi più impegnativi, in scattini, test, volate solo sul traguardo.
Gli italiani hanno deluso. Scarponi boh, mai convinto più che tanto, e Cunego non lo si capisce, da anni: volendo ha fatto un discreto Giro, ma il senso della sua corsa è stato abbastanza misteriosa. Dispiace per Ivan Basso: l'impressione è che, purtroppo, ormai l'età cominci a farsi sentire, le gambe non sono più quelle anche di due anni fa. Comunque, estremamente dignitoso, quello che poteva fare l'ha fatto, anche se, col senno del poi, il controllo totale della corsa da parte della Liquigas per tutto il Giro non è stata la migliore delle idee, tenendo bloccata la gara e finendo per avvantaggiare corridori con squadre più deboli. Vediamo che fa al Tour Nibali, e come cresceranno i vari Rabottini, Caruso, Pozzovivo: al momento però, l'Italia non pare proprio in grado di offrire ciclisti ai massimi livelli.
Altre cose sparse: il Processo alla Tappa non è piaciuto, Alessandra De Stefano tira molto poco. Non si capisce il perché dell'esilio dagli orari caldi di Gigi Sgarbozza, così come l'avere eliminato le ricognizioni di Cassani, sostituite in modo molto indegno.
All'anno prossimo.