Il 12 febbraio del 1924, 85 anni fa, Antonio Gramsci fondava l'Unità.
Auguri
quindi al quotidiano storico della sinistra italiana, che nonostante
questi 85 anni passati tra dittature, speranze, fallimenti e attuali
piddiosaggine e scomodi formati tabloid non ha mancato mai di far
sentire la sua voce per la libertà, la pace, l'uguaglianza e la
giustizia. E che possa continuare a farla sentire ancora a lungo.
E per l'occasione, un paio di pensieri gramsciani sull'impegno.
"Si
osserva da alcuni con compiacimento, da altri con sfiducia e
pessimismo, che il popolo italiano è «individualista»: alcuni dicono
«dannosamente», altri «fortunatamente». Questo «individualismo», per
essere valutato esattamente, dovrebbe essere analizzato, poiché esistono
forme diverse di «individualismo», più progressive, meno progressive,
corrispondenti a diversi tipi di civiltà e di vita culturale.
Individualismo arretrato, corrispondente a una forma di «apoliticismo»
che corrisponde oggi all’antico «anazionalismo»: si diceva una volta
«Venga Francia, venga Spagna, purché se magna», come oggi si è
indifferenti alla vita statale, alla vita politica dei partiti.
Ma
questo «individualismo» è proprio tale? Non partecipare attivamente
alla vita collettiva, cioè alla vita statale (e ciò significa solo non
partecipare a questa vita attraverso l’adesione ai partiti politici
«regolari») significa forse non essere «partigiani», non appartenere a
nessun gruppo costituito? Significa lo «splendido isolamento» del
singolo individuo, che conta solo su se stesso per creare la sua vita
economica e morale? Niente affatto. Significa che al partito politico e
al sindacato economico «moderni», come cioè sono stati elaborati dallo
sviluppo delle forze produttive più progressive, si «preferiscono» forme
organizzative di altro tipo, e precisamente del tipo «malavita», quindi
le cricche, le camorre, le mafie, sia popolari, sia legate alle classi
alte."
"Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il
loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del
come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone
quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha
fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia
pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano,
vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare
l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in
essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede
non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei
cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare
mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che
sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che
l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il
sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti."