7 settembre 2008

Il quadrivio della poesia

Se Marziale era un grande, Catullo era un soggettone.
Innamorato perso di quel noto puttanone di Clodia, da lui cantata col nome di Lesbia, quando finalmente si accorge anche lui che su' regazza era una zoccola che s'era passata mezza Roma (ci piace pensare che tra gli altri ci fosse lo stesso Cicerone, acerrimo nemico politico del fratello di Lesbia, Clodio, di cui difese anche gli assassini... ma lasciamo stare) pensa bene di scrivere questo carme, il n. 58.

Caeli, Lesbia nostra, Lesbia illa,
illa Lesbia, quam Catullus unam
plus quam se atque suòs amavit omnes,
nunc in quadriviis et angiportis
glubit magnanimos Remi nepotes.

"Celio, la nostra Lesbia, quella Lesbia, sì proprio quella Lesbia, l'unica che Catullo ha amato più di sé stesso e dei suoi, adesso nei quadrivii e nei vicoli scappella i magnanimi nipoti di Remo."

Di tutto ciò, quello che non capisco è perché Catullo (dopo essersela cercata), abbia deciso di utilizzare la poesia per rendere noto al mondo nei millenni a venire il fatto che era cornuto.

[interessante la storiella del verbo glubere, che in origine indica l'atto dello spellare il chicco di grano dalla pula]

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