Il risultato dei referendum di ieri è stato storico. E se a Berlusconi e compagnia rimanesse un briciolo di decenza e dignità, si sarebbero dovuti immediatamente dimettere.
E' stato un voto in cui si sono mescolati molti fattori, l'onda lunga delle elezioni amministrative, l'"effetto Fukushima", la stanchezza, il rigetto di larga parte del Paese nei confronti di Berlusconi e del Governo. In Italia ha votato il 57% dell'elettorato, di esso il 95% ha scelto di abrogare quattro provvedimenti approvati dall'attuale maggioranza parlamentare. Ossia, il 54% effettivo dell'elettorato, la maggioranza assoluta degli italiani, ha votato per l'abrogazione. Questo è un dato politicamente di estremo rilievo, si ricordi che in genere chi "vince" un'elezione è in realtà solo una maggioranza relativa, ma minoranza effettiva della popolazione (per capirci, centrodestra e centrosinistra, che possiamo accreditare approssimativamente a un 40% ciascuno attualmente, rappresentano, tenuto conto dell'astensionismo, non più che un elettore su tre): al referendum invece ha votato per l'abrogazione delle leggi non la maggiore delle minoranze, ma una maggioranza reale, assoluta. E' evidente che questo voto non potrà non avere pesanti ripercussioni politiche sulla "maggioranza" di centrodestra, contro cui di fatto ha votato una larga parte del proprio stesso elettorato. Per questo non si può ridurre il referendum a un semplice voto d'opinione, ma si è trattato di un voto storico, a seguito del quale, e alla luce anche delle clamorose sconfitte delle amministrative, il governo non dovrebbe prendere altra strada che quella delle dimissioni e delle elezioni anticipate. E' palese l'assoluta carenza di legittimazione popolare del centrodestra e di Berlusconi.
Onore a tutti i movimenti e le associazioni che fin dall'inizio, quando pareva una battaglia persa in partenza, hanno creduto e lottato per i referendum. Nota di merito va riconosciuta all'Italia dei Valori, che grazie al referendum sul legittimo impedimento, su cui personalmente non avrei puntato nulla, è riuscita a dare un particolare peso politico alla consultazione, altrimenti molto tecnica. Nota di merito anche a Bersani: gli è stato rinfacciato come la linea, sua e di buona parte della dirigenza democratica, su nucleare e acqua pubblica non fosse quella che poi hanno sostenuto al referendum, e che è stato alquanto disinvolto nel cambiare idea. Vero, ma bene ha fatto, è stato politicamente accorto a cambiare posizione (così come a Milano, e poi a Napoli), capendo quale fosse l'aria che tirava, in Italia e nella base, appoggiando apertamente il sì, e con lui - quasi - tutto il partito, contribuendo infine in modo determinante a questi straordinari risultati.