11 febbraio 2011

Riflessioni economicistiche sul 17 marzo (Unità d'Italia nonché San Patrizio)

La proposta di festeggiare il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, il 17 marzo, istituendo eccezionalmente per quest'anno un giorno festivo, pareva una delle rarissime cose buone pensate da questo governo, oltre che una buona maniera per vivere e festeggiare come si deve questa importante ricorrenza. Festa da fare come si deve, dato che ce ne ricordiamo una volta ogni 50 anni, e nella quale incredibilmente ci si potrebbe quasi tutti riconoscere, che il 25 aprile è visto come troppo politico, e il 2 giugno è ancora una data un po' artificiosa.
Oltretutto, il 17 marzo è anche il Giorno di San Patrizio, non dimentichiamocelo (ce la sapeva lunga Vittorio Emanuele II).
Pareva strano che tutto filasse liscio, finalmente una buona idea. E infatti. Invece no. Tutti a mettere in discussione la festa, strattonandola da ogni parte. Inizia la Marcegaglia, ci si aggregano - strano - i ministri leghisti, ci mette il carico la Gelmini. Oggi parrebbe che pure Cisl, Uil e Ugl vogliono che quel giorno si festeggi, ma al lavoro. Bah.
La tesi più sostenuta è che l'Italia, in tempo di crisi economica, non può permettersi un giorno di vacanza il 17 marzo, che tocca lavorare. Ahò, uno, capita ogni 50 anni una ricorrenza del genere. Due, quest'anno il 25 aprile coincide con Pasquetta, il 1° Maggio è domenica, Natale pure è di domenica, ossia tre giorni di festa in meno. Tre, la crisi è da sovrapproduzione, centinaia di migliaia di lavoratori sono in cassa integrazione perché le aziende non possono permettersi di lavorare a pieno ritmo.
Insomma, è una bella fregnaccia che il 17 marzo per il bene del paese tocca lavorare. Basta con tutte 'ste polemiche idiote, e per una volta festeggiamolo per bene il fatto di essere italiani.

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