Giulio Tremonti è il primo responsabile delle politiche attuate da questo governo, e dei tanti danni che ne sono derivati. Al di là delle preoccupazioni personali di Berlusconi sulla giustizia, tutta l'azione del governo in questi tre anni è di fondo rintracciabile in continui tagli alle spese in ogni campo e settore, unica ratio e filo conduttore di provvedimenti, spacciati poi come "riforme", come quelli su scuola e università o sulle pensioni. In un contesto di profonda crisi economica globale, Tremonti e questo governo si sono limitati a un controllo sulla spesa pubblica, senza proporre uno straccio di misura per sostenere prima la tenuta e poi la ripresa della crescita, con effetti sostanzialmente recessivi per l'economia italiana, che uniti all'incremento della disoccupazione e all'aumento indiscriminato di spese e tariffe (già, perché sulla tassazione formalmente non si interviene, lasciamo che siano gli enti locali a tagliare i servizi o a renderli più costosi, così che gravano indiscriminatamente su tutti, alla faccia del principio di progressività della pressione fiscale) hanno comportato un impoverimento generale del Paese, e soprattutto dei ceti popolari.
Per carità, una politica economica meno scandalosa del Tremonti della "finanza creativa", dei condoni a raffica e della voragine di bilancio del 2001, ma ugualmente dannosa. Non si può sopportare l'ennesima manovra di tagli indiscriminati per 40 miliardi di euro, alzare nuovamente da un giorno all'altro l'età pensionabile: siamo già ben oltre il limite.
E la cosa che purtroppo tocca constatare, è che contro il Tremonti versione "Quintino Sella" nell'opposizione non si alzano le barricate, le colpe del governo in politica economica vengono rilevate, ma senza decisione, e Tremonti, visto potenzialmente come alternativa a Berlusconi, è trattato con estremo riguardo: la linea di Repubblica, a tal riguardo, è emblematica.
Si vocifera oggi che Tremonti potrebbe essere a un passo dalle dimissioni: ma che se ne vada, e con lui tutto il governo, hanno già fatto fin troppi danni, e c'è bisogno di una decisa svolta nella politica economica italiana, che non è certo un'ipotetica riforma fiscale come quella di cui si parla, tutta a favore dei più ricchi.