Come ben noto, la crisi in Consiglio Comunale si è aperta in seguito allo scontro su alcuni emendamenti presentati da una parte dei consiglieri comunali democratici al Bilancio 2011. Alcuni di essi effettivamente anche su questioni (cooperative e servizi, cultura) di assoluto rilievo e di necessario dibattito: però insomma, complessivamente sono semplicemente venuti al pettine una serie di problemi politici, interni al Partito Democratico, che si trascinavano da anni.
Ricapitolando, in seguito della fusione di DS e Margherita, di fronte a un rapporto reale di elettori a Terni di almeno 2 a 1, alle travagliate elezioni comunali del 2009 i candidati di area ex Margherita sono riusciti a capitalizzare assai meglio il gioco delle preferenze, così che circa la metà consiglieri democratici proveniva da quell'area (invece molto meno rappresentata, in modo più fedele ai reali equilibri interni, in Giunta Comunale); e fin da subito sono emerse continue tensioni, a opera del forte gruppo di "minoranza", che hanno condizionato l'operato della sindacatura Di Girolamo, si veda ad esempio la mancata approvazione, causa voto congiunto opposizioni/ex margheritini, del registro per il testamento biologico, appoggiato personalmente dal sindaco.
Daje e daje, mettendoci anche la personalità di Di Girolamo, che tutti concordi nel ritenerlo una bravissima persona, ma non certo una personalità carismatica, in grado da solo di tenere unito il partito e la coalizione, la spaccatura interna al Partito Democratico ternano si è allargata sempre di più, giungendo al punto in cui siamo oggi.
Viene facile analizzare la situazione come la semplice conseguenza di un mancato amalgama tra ex diessini ed ex Margherita. Ciò è riduttivo, è un po' un caso che i "ribelli" siano tutti di provenienza margheritina, il caso ternano è casomai sintomatico di tendenze che si possono riscontrare in tutta l'Umbria.
Da una parte, c'è un gruppo politico che non si può ridurre a ex democristiani e popolari, ci sono anche loro, ma le provenienze si sono mischiate, sono stati in un passato prossimo veltroniani e poi franceschiniani, per poi adesso avere simpatie "rottamatrici": sono i vari Bocci, Guasticchi, Brega, generalmente abbastanza giovani, di ispirazione politica ormai estremamente eterogenea, e tutti assai spregiudicati e manovrieri (si veda il flirt con Rifondazione di Bocci, alle primarie contro la Marini nel febbraio scorso).
Dall'altra parte, c'è il blocco di potere tradizionale, post diessino e prima ancora post comunista, oggettivamente sempre quello da anni, che già probabilmente in crisi, dopo la nascita del Partito Democratico, che per convenienza ha comunque appoggiato in massa, pare aver perso definitivamente ogni residua "spinta propulsiva" e ragione di essere ideale di un'intera classe politica: di qui gli enormi problemi di rinnovamento, evidenziatesi già all'epoca della scelta del candidato per Todi quattro anni fa, poi a Terni, poi l'anno scorso con l'impasse sul candidato post Lorenzetti, e ancora nella scelta dei nuovi segretari, e nell'ultima tornata di primarie, a Gubbio, Assisi, Città di Castello. E che di fronte all'arrembanza dei rivali all'interno del PD, chiaramente non sa come muoversi, riuscendo a tirare avanti solo grazie alla "fedeltà alla linea" di migliaia di militanti, e a tutta la rete di potere tessuta in lunghi anni.
La crisi del PD ternano è da leggersi quindi all'interno di quest'ottica di tipo regionale. Le fratture avvenute qui possono benissimo riproporsi a breve in altre località e ad altri livelli. Non sarebbe male perciò, per il bene di tutti, che prima che sia troppo tardi il gruppo dirigente umbro si desse una profonda scossa, magari ricordandosi che in Umbria le province sono due (vedi alla voce composizione della Giunta Regionale), e dato che ormai la cazzata di aver creato il PD è stata fatta, riconoscere e affrontare i problemi, per evitare di distruggere in pochi anni quanto di buono costruito in decenni.
Detto ciò, per concludere nuovamente su Terni, si resta in attesa dei vari giri di ascolto e consultazione per sapere le sorti del Comune: ma la strada è strettissima, tra i consiglieri di minoranza del PD che non sono intenzionati a fare un passo indietro, la necessità di mantenere un profilo politico e programmatico dignitoso e accettabile, il difficile gioco di incastri per ridisegnare la Giunta, la necessità di avere un Consiglio che permetta di governare senza ricatti altri tre anni.